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GREEN DAY: Intervista esclusiva per Vanity Fair Italia

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NUOVA INTERVISTA AI GREEN DAY: ”PIACERE, STIAMO DANDO DI MATTO” in ESCLUSIVA per Vanity Fair Italia
Hanno vinto le loro battaglie contro alcol, droga e malattie.
E ora che tornano dopo 4 anni di silenzio, i GREEN DAY vogliono fare due cose: “impegnarsi per la vita e raccontarci i loro progressi”.
Buongiorno! Le dispiace se prima di iniziare mi faccio un
caffè?». Sono di spalle, seduto sul divano della camera d’albergo quando Billie Joe Armstrong fa il suo ingresso nella stanza.
Di fronte a me c’è la poltrona, ancora vuota. Dietro, una vetrata imponente dà sulla baia di San Francisco. È una vista impossibile da dimenticare. Al centro c’è un isolotto, non uno qualsiasi: è Alcatraz, diventato famoso per aver ospitato il carcere di massima sicurezza. Quanto di più lontano possa esserci dall’atmosfera lussuosa che ci circonda, ma in qualche modo affine a questo gruppo punk rock che da sempre canta contro il sistema. Inizio con il frontman, poi intervisterò il bassista, Mike Dirnt, e infine sarà il turno di Tré Cool, lo storico batterista della band. Billie Joe si accomoda con la sua tazza bollente appoggiata sul ginocchio, ma quando iniziamo a parlare la macchinetta del caffè non si è ancora spenta e il rumore ci distrae. «Mi scusi, tra poco la smette». Quello che noto subito è che Armstrong, mentre parla, non mi guarda mai negli occhi: tornare per un’intervista dopo anni di silenzio non deve essere la cosa più semplice al mondo. Il caffè scotta e forse è per questo che, dopo il primo sorso, la mano che stringe la tazza ha un sussulto. Parte della bevanda si rovescia sui pantaloni, macchiandoli. Nessuna imprecazione, nessuna parolaccia, Billie Joe sorride: «Ecco, perfetto, direi che ora possiamo cominciare». A 44 anni compiuti Armstrong è ancora il ragazzino di una volta, i Green Day sono quelli degli anni d’oro di Dookie e American Idiot. «Penso di essere ancora un bellissimo giovincello», scherza il cantante. «In realtà sto ancora cercando di capire alcune cose. Nella prima strofa della canzone Forever Now dico: “Mi chiamo Billie e sto dando di matto”. È il verso più sincero che abbia mai scritto. Sono ancora un caso disperato». Eppure, dalla leggendaria Basket Case sono trascorsi 22 anni. Gli ultimi però sono stati i più difficili. Il 7 ottobre i Green Day pubblicano Revolution Radio, l’attesissimo album che interrompe una pausa durata quattro anni. Un lasso importante, durante il quale Armstrong ha vinto la dipendenza da alcol e droghe, il chitarrista
turnista Jason White ha lottato con un tumore alle tonsille e il bassista Mike Dirnt ha ritrovato la moglie Brittney, che ha vinto una terribile battaglia contro il cancro al seno. «In quei momenti per noi molto difficili, ho capito che il nostro legame non era fondato sulla musica ma sulle persone. Proprio come in una vera famiglia», spiega Armstrong. «Le cose brutte della vita ti permettono di aprire gli occhi, di avere una prospettiva nuova e ti fanno apprezzare in modo diverso ciò che hai», mi dice Dirnt quando lo raggiungo nella sua stanza. «Ora se mi chiedo se davanti a me ho più giorni positivi o negativi, mi rispondo che non lo posso sapere. So solo che posso cercare di renderli positivi. È la decisione conscia di svegliarsi e impegnarsi per la vita, di non lasciare che il portiere ti rovini la giornata. Tutto dipende dal giusto approccio alla vita». Lo sa bene anche Tré Cool, l’unico a essere passato «indenne» attraverso quel periodo maledetto. Quando entro nella sua di stanza, mi accoglie saltando sul letto, proprio come farebbe un bambino il giorno di Natale. «Mi sono sposato (l’11 ottobre 2014 con la modella Sara Rose Lipert, ndr), ho cercato di non fare musica per un po’. È stato difficile non suonare, ho dovuto imparare di nuovo a rilassarmi, a fare cose normali. Sono stato anche in Italia: Cinque Terre, Portofino, Roma, Milano e Firenze, sono eccitato all’idea di tornarci in tour». I Green Day infatti apriranno la tournée europea proprio nel nostro Paese, con quattro concerti a partire dal 10 gennaio a Torino, Firenze, Bologna e Milano. Intanto, il singolo Bang Bang – già pubblicato dalla band – impazza tra i fan. La canzone parla di un cecchino di massa e della sua controversa relazione con i social media. Armi e uso del web, due problemi che soprattutto la società americana conosce bene. «Riguardo ai social media, credo che la situazione ci sia sfuggita di mano, ne abbiamo perso il controllo», spiega Billie Joe. «Con Bang Bang cerco di entrare nella testa di una persona pazza ma nello
stesso tempo di colmare quel divario creato dal terrore dei confini, ovvero dalla xenofobia. Per come la vedo, ciò che la gente scrive su Facebook è una sorta di manifesto, come nel caso di quel ragazzino di Santa Barbara, qui in California, che ha postato la frase: “Nessuna ragazza è attratta da me, quindi qualcuno deve morire”. Un’idea che l’ha portato a sparare e a uccidere gente innocente (si riferisce alla strage nel campus universitario di Santa Barbara compiuta da Elliot Rodger nel 2014, ndr). Dall’altra parte, c’è un altro tipo d’ideologia, che si tratti di Isis o di qualche altra pazzia. Cerco di considerare entrambi gli aspetti e di metterli insieme, è il narcisismo della nostra cultura. Ora con i social media così fuori controllo, di casi ne vediamo sempre più. Ed è incredibile il fatto che nessuno riduca le distanze, per esempio, tra la polizia che uccide giovani neri e la stessa comunità afroamericana, se non quando sono i poliziotti a essere uccisi, com’è accaduto di recente a Dallas». I brani di Revolution Radio sono stati scritti ben prima che Donald Trump si candidasse alla presidenza degli Stati Uniti. Per questo l’album, di un’attualità disarmante, pare sia riuscito a prevedere il futuro. «Credo che Trump sia Ronald McDonald (la mascotte-pagliaccio della famosa catena di fast food, ndr), non credo voglia davvero diventare presidente. Sono convinto piuttosto che voglia solo fare un po’ di reality Tv, per incrementare gli introiti dei suoi show. La campagna elettorale gli serve per rafforzare il suo marchio, continua a dire cose folli, le persone reagiscono e lui diventa sempre più popolare. Credo che non immaginasse neppure di arrivare così vicino alla Casa Bianca». E a due mesi scarsi dalle elezioni, il rischio che Trump ce la faccia è reale. «Il suo è una sorta di “fascismo aziendale” », prosegue Armstrong. «La cosa più triste però è che una parte della società americana si riflette in lui: le persone disperate, quelle della classe operaia e i più poveri. Trump dà a loro un nemico, gioca con la carta del razzismo, dipinge un mondo dove il male è rappresentato dai messicani, dai musulmani che arrivano a rubarci il lavoro, a stuprare i bambini, a ucciderci, frasi che abbiamo sentito tutti uscire dalla sua bocca. È questa la cosa che mi rattrista di più, quando si punta il dito sull’uomo nero, dimenticandosi temi vitali come la sanità, l’istruzione, lo stipendio minimo e così via». Temi vitali come è vitale un respiro. Nel nuovo album c’è un brano che parla proprio di questo, e la mente non può che correre al periodo più buio della sua vita, quello della clinica di disintossicazione: «Still Breathing parla di sopravvivenza, che per me è stata l’esperienza di invecchiare, diventare sobrio. Parla di quel senso di volersi salvare, dall’avanzare degli anni o da qualcosa di più specifico, che si tratti di droga o di stress posttraumatico come accade ai veterani di guerra. A volte, il solo fatto di respirare è sufficiente». Prima di salutarci, Billie Joe Armstrong vuole rassicurare tutti coloro che temono che Revolution Radio possa essere l’ultimo grande album della band. «Oh no, i Green Day non molleranno mai. Faremo musica finché saremo in vita, facendo tour e divertendoci il più possibile». Come da trent’anni a questa parte, come
sempre. SCANSIONI: http://bit.ly/2d1pl9z